Il parroco don Giuseppe Di Stefano: “Essere qui oggi è un atto d’amore e di verità verso chi siamo e chi vogliamo diventare”

Più del ricordo, vissuto come memoria di chi non c’è più, conta l’impegno quotidiano alimentato dalla consapevolezza e dalla responsabilità di quanto libertà e legalità siano due facce della stessa medaglia. E’ per questo che anche quest’anno in occasione della 33ma Giornata della Legalità che si celebra il 23 maggio, giorno della strage di Capaci, Comune consiglio della Terza municipalità e parrocchia Madonna delle Lacrime con le scuole della circoscrizione hanno voluto deporre una corona di fiori al villaggio Padre Annibale di Bordonaro, nella via intitolata al giudice Giovanni Falcone ucciso dalla mafia insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli uomini della scorta. Un momento che celebra non solo il ricordo di chi ha dato la vita per il bene della comunità, ma una presa di coscienza collettiva che si traduce in responsabilità, soprattutto nelle periferie sociali; qui scuola e parrocchia si confermano presidi educativi indispensabili, soprattutto in quei quartieri periferici della città, dove spesso il disagio sociale nelle sue varie forme offusca i sogni dei giovani e le speranze delle famiglie. A sottolinearlo il presidente della Terza municipalità Alessandro Cacciotto, l’assessore comunale Antonino Carreri, la vicaria della prefetta Roberta Mancuso, le dirigenti degli Istituti comprensivi Leopardi e Albino Luciani, Ersilia Caputo e Grazia Patanè.
“Essere qui oggi è un atto d’amore e di verità verso chi siamo e chi vogliamo diventare. Verso Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il generale Dalla Chiesa, Peppino Impastato, Rocco Chinnici e i tanti martiri della legalità cui sono intitolate le vie del nostro rione, verso chi, anche nei giorni più bui, non ha mai smesso di crederci e lo ha fatto anche per noi”. Forti e piene di speranza le parole del parroco della comunità Madonna delle Lacrime Giuseppe Di Stefano che si è rivolto a n gruppo di studenti del comprensivo Manzoni Dina e Clarenza presenti alla cerimonia. “Capaci è una parola bellissima: e non certamente perché si tratta di un luogo tristemente noto per quella terribile strage ad opera della mafia, di cui facciamo memoria. Capaci, cioè capace al plurale, è nel vocabolario della lingua italiana una parola, un aggettivo, che contiene in sè tutta la bellezza e la fatica che ci portiamo dentro, sono i sogni, i progetti, i grandi ideali di cui abbiamo bisogno per vivere, stanchi di sopravvivere, di tirare a campare, è la certezza che ciò che abbiamo davvero il coraggio di chiamare per nome, di attraversare, non potrà più tenerci prigionieri dell’ansia e della paura. È lasciare che la passione per la vita, per la giustizia, per il rispetto e il bene di tutti, che uomini come Falcone, Peppino Impastato, padre Pino Puglisi, ci hanno trasmesso, ci contagi fino a toglierci il sonno, ci inquieti fino a diventare nostra. È far sì che il sacrificio di chi si è opposto alla malavita e ad ogni logica mafiosa, sia onorato e reso visibile nelle nostre quotidiane rinascite, o anche soltanto nei tentativi di ricominciare.
Come singoli e come comunità. Di scommettere sulle persone, di costruire un futuro in cui non abbiano più diritto di cittadinanza la logica clientelare, l’ignoranza e la povertà come pure lo sfruttamento e l’asservimento dei più deboli. È trovare finalmente il coraggio di essere fragili, senza più doverci nascondere nel branco per sentirci qualcuno, per crederci forti. È iniziare a pensare con la propria testa invece di omologarsi alla massa. Sporcarsi le mani, impegnarsi senza più delegare, senza aspettare che il mafioso e persino il politico di turno si serva della latitanza dello Stato per asservire chi vede sistematicamente disattesi i propri diritti. Essere “capaci” è rimanere fedeli a noi stessi, ai nostri sogni, anche quando tutto dovesse perdere forza, slancio. Anche quando tutti dovessero voltarci le spalle e abbandonarci. Anche quando si renda necessario pagare di persona, mettendoci la faccia o la stessa vita. Anche quando dovesse essere più faticoso, più difficile e la soluzione più comoda fosse scappare, o, peggio ancora, rassegnarsi”.